lunedì 27 aprile 2020

TRACCIARE, TESTARE, TRATTARE di Fausto Tomei




In questi due mesi abbiamo affrontato tanti temi, tutti fondamentali per organizzare una vita (quasi) normale con il coronavirus. 
Molti di questi sono stati letti con scetticismo (se non derisione) all'inizio, ma ora sono per fortuna entrati nell'immaginario collettivo: le mascherine, che saranno obbligatorie per tutti nella nostra vita futura, la necessità di fare test, anche e soprattutto agli asintomatici, di tracciare e testare i contatti di ogni nuovo positivo riscontrato, di essere pronti a fare lockdown rapidi, in caso di nuovi focolai.

Anche i temi sanitari stanno lentamente diventando patrimonio comune delle varie regioni: i dispositivi di protezione al personale, gli ospedali specializzati covid, le strutture apposite per isolare i positivi e impedire i contagi familiari, il trattamento precoce e a domicilio per non intasare gli ospedali, il monitoraggio costante delle RSA, che da sole hanno provocato quasi il 50% dei decessi in Europa.

Vuol dire che siamo pronti alla riapertura? No.
A parte il fatto che tutte le cose sopra elencate sono appena abbozzate e non assolutamente operative, il problema principale è che molte regioni hanno ancora troppi casi per permettersi di rischiare. E li hanno perché fanno ancora troppi pochi test.

In sostanza     si può definire che un paese ha successo nella lotta al virus se riesce a ridurre i nuovi casi giornalieri sotto il 20% del valore al momento del picco. E se riesce a mantenersi nel tempo sotto questa soglia. In genere, gli sforzi messi in piedi per arrivare a questo risultato sono gli stessi che servono per mantenerlo. 

In particolare abbiamo visto che tutti i paesi che ci sono riusciti hanno un rapporto tra numero di test e numero di contagi riscontrati superiore a 20. Nei casi migliori come la Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan, questo rapporto è superiore a 50. Vuol dire che per ogni positivo che viene identificato altri 50 tra i suoi familiari, colleghi e contatti recenti, vengono testati. E tutti i positivi così riscontrati vengono isolati fino a che non risultano negativi, a prescindere se hanno sintomi o meno. Questo vuol dire tracciare il contagio.

La controprova l'abbiamo nei fallimenti: i paesi che hanno i più bassi valori del rapporto test/casi, sono quelli che hanno le situazioni più gravi al mondo: noi, la Spagna, la Francia, USA, UK e Belgio.

Ma come sono messe in questo indicatore le regioni italiane? Se considerassimo i valori dall'inizio dell'epidemia, quando praticamente non si facevano test, avremmo valori terribili, a parte per alcune regioni del sud partite dopo e meglio. 
Quindi ho preso in considerazione i dati dell'ultima settimana, dal 16 aprile ad oggi, confidando che da qui in avanti non si possa che migliorare.

Il grafico si propone anche di dare indicazioni per decidere chi si può considerare pronto alla riapertura, almeno dal punto di vista di nuovi contagi e test effettuati. Sull'asse verticale abbiamo la percentuale media dei nuovi casi riscontrati nell'ultima settimana, rispetto al valore che quella regione aveva al picco. Quindi la posizione verticale ci mostra quanto una regione è riuscita a scendere da allora. Sull'asse orizzontale (in scala semi logaritmica) abbiamo il rapporto tra test effettuati e nuovi casi riscontrati, sempre nell'ultima settimana. 

Si vede subito, a dimostrazione di quanto il rapporto test/casi sia fondamentale, che c'è una correlazione abbastanza netta: più si fanno test, prima si riesce a scendere. Ma con differenze che sono evidentemente il frutto di tanti altri fattori, tra cui quelli di cui parlavamo all'inizio. Il rettangolo rosso è la destinazione ottimale, quella in cui bisogna stare per essere pronti ad affrontare una riapertura: pochi nuovi casi (meno del 20% rispetto al picco), tanti test (più di 50 per ogni nuovo positivo).

Dentro il box delle regioni di successo, per ora, festeggiano in poche: Sardegna, Molise, Basilicata, Calabria e Umbria, che tra tutte è la migliore. Tutte regioni partite con un forte vantaggio temporale, che hanno saputo sfruttare. Altre sono abbastanza vicine al traguardo e fa piacere che tra queste ci siano le Marche, uno dei primi focolai che grazie a una forte politica di test sta tornando in una situazione gestibile. 

Piemonte e Liguria, al capo opposto del grafico, non sono invece in alcun modo pronte a riaprire, hanno ancora tantissimi nuovi casi e fanno pochissimi test, chi lo proponesse nelle condizioni attuali è un folle. 

Nel mezzo ci sono tante situazioni interessanti, che andrebbero studiate una per una, e magari lo faremo negli aggiornamenti futuri. Guardate la differenza tra Trento e Bolzano: partite insieme nel contagio eppure Bolzano grazie a più test e scelte migliori è prossima al traguardo.

L'Emilia-Romagna sta aumentando il suo numero di test, ma molto più lentamente rispetto a quanto dovrebbe, e lo paga nell'essere ancora lontana da raggiungere la soglia del 20% di nuovi casi. Se avesse cominciato a farne tanti da subito, avendo fatto scelte corrette su altri campi, ora sarebbe sicuramente tra le regioni migliori.

Abruzzo e Puglia sono le regioni del centro-sud che meno sono scese rispetto al picco, probabilmente proprio a causa del minor numero di test rispetto alle altre. Il Lazio sembrerebbe che ne abbia fatti tanti, per la sua posizione sull'asse orizzontale, ma in realtà molti di questi sono test ripetuti agli stessi casi. Negli ultimi giorni la protezione civile ha cominciato a divulgare anche questo indicatore e il Lazio mostra questo strano fenomeno: il nr di persone realmente testate è inferiore di quattro volte al numero di test effettuati.

Infine i tre casi più interessanti: Lombardia, Valle d'Aosta e Veneto. Il Veneto, che in tanti abbiamo elogiato, continua a fare un buon numero di test, vicino all'ottimo, ma fatica a scendere rispetto al picco. Certo ha un nr di casi inferiore in termini assoluti alle altre regioni del nord, ma evidentemente c'è qualche problema che va identificato. Forse l'affermazione di Zaia, che la regione non è più in lockdown, è purtroppo vera.

Lombardia e Valle d'Aosta sembrano le uniche in controtendenza: scendono pur facendo pochi test, la Valle d'Aosta meno di tutte. Come è possibile? Qui c'è da dire una triste verità: queste sono tra le regioni peggiori al mondo, come numero di morti e contagi reali. Non hanno fatto nulla per fermare il contagio, continuano a fare poco, quindi ci sta pensando la natura: in molte province della Lombardia (Bergamo, Brescia, Lodi, Cremona) vediamo probabilmente in azione l'immunità di gregge, primo luogo al mondo in cui avviene.

Milano, dove ancora non c'è stato il disastro, è anche l'unica che continua a salire in regione. Per favore cambiate politica prima che si arrivi al disastro anche qui, con milioni di persone ancora suscettibili, non si può lasciare Milano in balia del virus


Fausto Tomei