mercoledì 31 ottobre 2018

Torino-Lione e Terzo Valico, il governo non giochi con il futuro del Nord-Ovest. di Daniele Borioli


Già ora sono numerosi i treni che ogni giorno collegano direttamente Lyon con Parigi, Bruxelles, Amsterdam in ambito continentale, e Londra attraverso l’Eurotunnel. I tempi di percorrenza tra la capitale della confinante regione francese (Rhone Alpes-Auvergne) con i due estremi, Amsterdam su terraferma, Londra sull’isola britannica, variano tra le cinque e le sei ore. Naturalmente di più breve durata sono le percorrenze verso Parigi e Bruxelles.
Basta solo questa semplice constatazione, che è possibile verificare consultando on-line gli orari ferroviari riguardanti quelle relazioni, per rendersi conto di quale sia il contesto in cui andrebbe collocata la, da noi ormai annosa e persino paradossale, querelle sulla nuova linea AC Torino-Lyon.
Naturalmente, tutti sappiamo (o dovremmo sapere) benissimo che quell’infrastruttura nasce prevalentemente per il trasporto delle merci via ferro, al fine di rendere possibile un riequilibrio modale più rispettoso del delicato sistema ambientale alpino, certo non beneficiato da un intenso trasporto pesante su strada. Ma è altrettanto naturale immaginare che una volta realizzato il tunnel di base e i nuovi tratti ferroviari previsti dall’attuale progetto, anche il traffico dei passeggeri ne ricaverà vantaggi.
Ecco perché è fondamentale conoscere il contesto più ampio. Quello che si può vedere solo esercitando uno “sguardo lungo”, che appare ad oggi quasi completamente inesistente nelle nostre discussioni e valutazioni domestiche. E quel contesto ci dice che sul versante occidentale dell’Europa, che appena al di là delle Alpi si sviluppa verso il Mare del Nord, è già attivo un sistema di collegamenti ferroviari veloci, il quale con discreta cadenza giornaliera connette cinque aree metropolitane (Lyon, Paris, Bruxelles, Amsterdam, London) in cui vivono complessivamente 27,5 milioni di abitanti.
La scelta che sta di fronte all’Italia e al Piemonte è dunque questa: agganciare l’Italia e l’intero Nordovest, attraverso Torino e il nuovo collegamento ferroviario con Lyon, a un grande arco continentale di sviluppo, che possiamo immaginare esteso sino a Milano, a comprendere sette aree metropolitane, insediate da oltre 33 milioni di abitanti (i 27,5 milioni sopra ricordati più i 2,3 milioni di Torino e i 3,2 milioni di Milano, senza considerare la densa costellazione di centri minori ma molto dinamici).
Preciso, anche se dovrebbe essere superfluo, che non intendo con questo affermare le ragioni a favore della Torino-Lyon fondandole sulla suggestiva ma improbabile e residuale ipotesi di poter andare in treno da Torino, o da Milano, ad Amsterdam o a Londra. I collegamenti tra gli estremi saranno ancora a lungo, e forse per sempre, più plausibili in aereo.
Il punto è un altro: riguarda la decisione di stare dentro o fuori un sistema di relazioni che, a cerchi concentrici, coinvolge addensamenti straordinari di realtà produttive e di lavoro, istituzioni culturali, di ricerca e conoscenza; giganti della finanza, strutture di organizzazione del welfare, articolazioni peculiari degli assetti istituzionali, sistemi di tutela e valorizzazione delle risorse ambientali e culturali, modelli di integrazione sociale, e così via.
Non meno rilevante è la scelta che riguarda l’altra grande infrastruttura ferroviaria collocata per buona parte in territorio piemontese: il cosiddetto Terzo Valico. Se la Torino-Lyon è la grande dorsale a sud della catena alpina che può connettere il Piemonte al grande Occidente d’Europa, il Terzo Valico è l’elemento decisivo del collegamento tra l’alto Mediterraneo e il suo sistema portuale principale, gravitante sugli scali di Genova-Savona, con alcune delle più dinamiche, ricche e produttive regioni europee, lungo la direttrice che attraverso il nuovo tunnel del San Gottardo porta sino ai porti del cosiddetto Northern Range (Rotterdam, Anversa, Le Havre, Bremen).
Su questo asse, che può conferire al Terzo Valico anche la funzione di potenziamento e cadenzamento delle relazioni ferroviarie tra Genova e Torino, si gioca la ricostruzione di una maggior coesione se non di un’alleanza strategica tra le due città principali del Nordovest italiano. Di due dei vertici, cioè, di quel “triangolo” (comprensivo di Milano), che ha segnato a suo tempo le tappe del decollo industriale del Paese, e che ora appaiono, ormai da alcuni decenni, in ritardo di crescita, rispetto al più dinamico Nordest.
Muovendo dal Terzo Valico, vale la pena di aggiungere una postilla, che poi tanto postilla non è. Guardando da Genova verso il ponente ligure, il completamento del raddoppio della direttrice ferroviaria verso Marseille inserirebbe pienamente nel disegno complessivo di vasta scala europea, che più sopra ho delineato, sia l’area metropolitana di Genova, sia quella di  Nice, sia ancora quella di Marsiglia: circa 3,3 milioni  (850 mila Genova, 950 mila Nice, 1,5 milioni Marseille) di abitanti in più, oltre ai 33 milioni già prima segnalati, e la possibilità di lavorare a un sistema portuale integrato dell’alto mediterraneo in grado davvero di lanciare la sfida ai porti del Nord Europa.
Certo, al disegno delle due grandi infrastrutture ferroviarie destinate a innervare il Piemonte occorrerà guardare con attenzione puntuale al territorio: sostenendo e pretendendo il rilancio e la valorizzazione degli assets già esistenti sul territorio, da Orbassano a Novara, da Alessandria a Novi e Tortona, ai fini di un ordinato sviluppo delle funzioni logistiche e intermodali, che eviti il consumo di nuovo suolo; orientando questo settore di sviluppo verso la capacità di generare lavoro buono e dignitoso; favorendo il recupero di capacità delle linee storiche ai fini del rilancio del trasporto ferroviario per i pendolari.
Su tutti questi aspetti, le partite sono ancora in gran parte aperte e da giocare con determinazione, nella dialettica tra le Regioni, gli enti locali e lo Stato. Ma è opportuno che non venga mai perso di vista qual è il perimetro di gioco, tanto più in un frangente nel quale è prima di tutto il governo in carica ad apparire del tutto indifferente, se non ostile, a completare un passaggio da cui dipende in maniera decisiva il futuro di una parte significativa del Paese. Del Nordovest senza alcun dubbio.
Quel buco nelle Alpi attraverso il quale dovrà passare il tunnel di base della Torino-Lyon, quel buco nell’Appennino ligure-alessandrino che dovrà ospitare il nuovo tunnel di base della linea dei Giovi, non sono solo due infrastrutture ferroviarie, che pure sono già molto. Sono l’elemento materiale che può consentire la configurazione e poi il perseguimento di una rinnovata polarità di sviluppo per l’Italia, in grado di rilanciare il protagonismo un po’ acciaccato del Nordovest italiano, e di due grandi città come Torino e Milano, che tanto hanno dato alla nascita dello stato unitario,.al suo decollo economico e che ora devono avere restituita una nuova chache.
Due diaframmi di roccia, il primo nelle Alpi, il secondo nel nostro Appennino possono se abbattuti agganciare l’Italia Nord-Occidentale a una grande nuova frontiera continentale che dal Mediterraneo sale verso la Manica e il Mare del Nord. E possono con la loro caduta determinare anche un possibile campo di costruzione dal basso di relazioni economiche, culturali, sociali, determinanti per costruire le cellule di coesione di una parte non secondaria dello spazio europeo.
Possono, al contrario, se prevarranno gli oscurantismi e il retrobottega di una politica più attenta al consenso del giorno che all’interesse generale, diventare un muro che, certamente, relegherà una parte intera dell’Italia, sicuramente il Piemonte e la Liguria, a un futuro subalterno, periferico e declinante. A questo destino potrà forse sottrarsi Milano, che per la sua stessa posizione geografica centrale può guardare alla connessione con l’Europa alzando la testa a Nord verso i valichi svizzeri; e che può pur sempre volgersi a Est verso il Brennero, che parrebbe non essere in discussione.
Ma neppure la grande metropoli del Nord potrà alla lunga non pagare l’onere di una depressione progressiva del Nordovest, che alimenta quote significative dei suoi traffici, delle sue ricchezze, dei suoi stessi fermenti culturali. In definitiva, la battaglia che Sergio Chiamparino ha ingaggiato a difesa della Torino-Lyon e del Terzo Valico, è certamente una battaglia che difende l’orgoglio e le prerogative del Piemonte e dei piemontesi. Ma è una battaglia che riguarda l’Italia e il suo futuro in Europa. Uno studio sul “rapporto costi-benefici”, molto semplice da fare e già risolto con la sola applicazione del buon senso.

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mercoledì 17 ottobre 2018

L'urbanistica della civiltà ( di Giorgio Abonante )

Qualche mese fa due autorevoli interventi, uno di Mario Mantelli, l’altro dello studio CMT, hanno riaperto il dibattito sull'urbanistica di Alessandria. In questi giorni, dopo un anno di stop, riparte la discussione in commissione consiliare sul Piano urbano della mobilità sostenibile. Forse è il momento giusto per riprendere quelle interessanti considerazioni e, più in generale, aprire un confronto con la città. L’organicità dell’attività di pianificazione è fondamentale nella misura in cui stabilire come si percorre la città presuppone a monte un’idea di città e di uso dei suoi spazi, senza farsi spaventare dai tempi di un’operazione inevitabilmente complessa.
Ci si può dare obiettivi di breve, medio e lungo periodo compatibilmente con le risorse a disposizione e con quelle che si potranno recuperare attraverso progetti mirati. La qualità della vita nella nostra città migliorerà se crescerà la dotazione di capitale territoriale, sotto media da molto tempo sugli indicatori ambientali e cognitivi. Per lo sviluppo l’ambiente urbano può essere decisivo se si agisce con un progetto ambizioso, condiviso fra le forze politiche e la città, e confermato nel tempo, senza parentesi o cesure post  elettorali.
Le aree e gli assi che possono concorrere a ridefinire l’identità urbana smarrita sono: a) il rettangolo Valfré – Università – Piazza Garibaldi; b) la riqualificazione del centro tra l’ex Ospedale Militare, il Comune e Piazza Libertà; c) l’asse culturale e verde Cittadella – argini – Marengo; d) le direttrici di collegamento città – sobborghi; e) il rapporto centro – sud attraverso il ridisegno del blocco stazione – scalo merci; f) il destino dell’Ospedale e del Tribunale.
Per ritagliarci qualche spazio di respiro in un contesto vivace e, al tempo stesso, accogliente dovremmo ridefinire alcune funzioni urbane, oggi situate in zone residenziali, ricollocandole in aree di minor pregio. Pensiamo ai piazzali di Amag mobilità e di Arfea che in futuro potrebbero trovare naturale collocazione presso lo scalo ferroviario, se quest’ultimo sarà finalmente collegato alla tangenziale. Oppure al recupero integrale del Forte Acqui liberato dalla presenza della Protezione Civile che, per l’importanza che ha acquisito, merita una sede nuova e più funzionale.
Quali sono le direttrici di senso che, oggi, possono orientare la riqualificazione del reticolo urbano? Una volta gli spazi della città erano tracciati dalla presenza del sacro, delle istituzioni, delle funzioni pubbliche, delle imprese, mentre lo spazio urbano nell’attualità sembra conteso e discusso solo attorno al commercio. Raro che la discussione si accenda, per esempio, sul chiudere al traffico uno spazio di fronte ad una scuola o ad una chiesa, il confronto avviene soprattutto attorno alla relazione strutture commerciali/spazio urbano. Anche nella cornice della città non sembra esserci un’autonomia del sociale, sembra tutto piegato alla dimensione economica, peraltro anch'essa poco rispettata se la si considera includendo i costi della sostenibilità e delle esternalità negative.

L’occasione per restituire dignità a questi temi è offerta dal ritorno in aula del PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile). Possiamo subire un’agenda imposta da luoghi comuni e quieto vivere, oppure possiamo aprirci ad un confronto profondo e ambizioso puntando a interpretare valori, necessità, bisogni e relazioni nella città che vorremmo. Sarebbe anche una carta da giocare in Europa, a Roma e a Torino. 
Chi scommette su Alessandria?

martedì 9 ottobre 2018

"Quell'unico ponte" ovvero 4-1 ( il paradosso alessandrino )


Alessandria, città tra i due fiumi


 « Nulla di nuovo tra Tanaro e Bormida »  diceva Umberto Eco, per definire il modo in cui trascorreva la vita nella città stretta tra i due fiumi. , come a sostenere che non ci fosse nulla che potesse fare notizia o costituire una deviazione da una linea prestabilita. 
Nata appunto tra i due fiumi, la nostra città ha sempre diviso le direzioni di comunicazione guardando e ovviamente attraversando Tanaro e Bormida. Facile capire le direttrici, direzione Tanaro prevalentemente verso il resto del Piemonte, direzione Bormida per Genova e la pianura padana; a ulteriore  dimostrazione della simmetria geografica il fatto che per andare in  Lombardia e Milano ci si possa indirizzare quasi indifferentemente verso Nord passando il Tanaro o verso est sul Bormida.

Anche da un punto di vista ferroviario  la circolazione  ( e i relativi ponti ) è divisa  in due con  i treni che passano sul Tanaro e quelli sul Bormida, tanto che gli addetti ai lavori indicano ufficialmente le due zone della stazione nordest e sudovest appunto con i nomi dei due fiumi.
Partiamo appunto da qua, dalle ferrovie con il nodo di Alessandria, centro importante,  al quale fanno capo e passano diverse linee : due ponti, uno di qua e uno di là e oltre 300 treni al giorno, nessuno pensa di farne altri.

Verrebbe da pensare che anche da un punto stradale la situazione dovrebbe essere altrettanto equilibrata, calcolando, anche a spanne,  che i flussi da e per la città possano essere simili e simmetrici : Torino, Asti, Cuneo da una parte, Genova, Piacenza , Pavia da un altra, Milano " in mezzo " e il gioco è fatto. 
E invece No.... per motivi storici, ambientali, culturali a volte comprensibili a volte meno, la situazione è nettamente squilibrata. 
Ma andiamo con ordine, nei primi secoli di vita la nostra città era concentrata verso il fiume Tanaro e la costruzione della Cittadella ha accentuato questa caratteristica;  dalla battaglia di  Marengo in poi anche il collegamento sul Bormida ha avuto la sua importanza, aumentata nel corso del tempo con il progressivo aumento delle zone abitate, delle ferrovie e dei primi insediamenti industriali.
Fino ad epoche recenti, agli anni '90, la struttura dei collegamenti è rimasta pressochè inalterata con il ponte Cittadella ad est, il ponte Bormida ad ovest e il ponte Forlanini, sempre sul Tanaro, ma verso nord. 

1994, l'alluvione


L'alluvione del 1994 ha rappresentato per la città la maggiore tragedia del dopoguerra e la necessità di rimettere in discussione tutto il sistema di "messa in sicurezza idraulica" e dei relativi ponti stradali e ferroviari ; grazie ai cospicui finanziamenti statali, la giunta leghista  procedette all'abbattimento e sostituzione del vecchio Forlanini (un pò  affrettata secondo alcuni) e alla costruzione di una nuova struttura, il Ponte Tiziano che dal 2000 regge i maggiori flussi di traffico sopra il Tanaro; FS  costruì inoltre il  nuovo ponte ferroviario di maggiore capacità del precedente.

Considerata la disponibilità del nuovo Tiziano ( o prima di costruirlo )  e la imminente apertura di un altro ponte sul Tanaro ( quello della tangenziale, esattamente di fianco al Forlanini e collegato alla città ) probabilmente qualche ragionamento e programmazione diversa sarebbe servita.

Invece all'inizio del millennio ci trovammo con tre ponti nuovi sul Tanaro e il vecchio Cittadella con le note carenze evidenziate in caso di alluvioni. Si parlò per un po' di un collegamento da Via T.Michel in direzione Osterietta, in luogo del ponte originario, ma il progetto non ebbe seguito.




Il vecchio Cittadella venne abbattuto nel 2009 e nel 2016 fu inaugurato il ponte Meier, opera sicuramente valida, a prova di esondazioni,  con una struttura di prim'ordine, un passerella ciclopedonale bellissima e che probabilmente rimarrà nella storia della città; peccato che vada ad inserirsi, come opera finale, in un contesto già stabilizzato e sufficiente per le  esigenze del traffico.

Risultato Finale


4 - 1 , non è il punteggio di una finale da sogno, ma la situazione assolutamente squilibrata dei ponti Alessandrini rispetto alle reali esigenze della città, 4 sul Tanaro, probabilmente in eccesso, e solo 1 sul Bormida, a condizioni pari di circolazione .
" Quell'unico ponte " sul Bormida  ha più di un secolo, sopporta un traffico incredibile per cui è stato necessario il raddoppio delle corsie e, a causa delle esondazioni  che hanno interessato lo stesso Bormida, spesso è stato necessario chiuderlo, bloccando l'accesso al capoluogo ; Idem in caso di incidenti.
Soluzioni a breve non si intravedono, una possibile sinergia con i nuovi centri commerciali per costruire un ponte alternativo non sono state realizzate e la possibilità di un nuovo attraversamento ( sia pure ciclopedonale ) previsto dal  piano periferie ha visto lo stop dal nuovo governo.
Per ironia, come si vede nella splendida foto dell'archivio Frisina, l'unico momento di due ponti sul Bormida si è avuto nel 1915, all'inaugurazione dell'attuale , quando era ancora presente il ponte Napoleonico in legno, di un secolo prima.

Coloris Daniele